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La schizofrenia: vivere nelle voci o nel silenzio?

Schizofrenia: vivere nelle voci vs. vivere nel silenzioOggi voglio spiegarti cosa significhi convivere con le voci e col silenzio della schizofrenia. Immagina di essere intrappolato in una stanza con una radio che gracchia voci confuse, spesso ostili, 24 ore su 24. Ora immagina, invece, di stare in una stanza completamente vuota, senza suoni, senza emozioni, senza stimoli. Entrambe le situazioni possono descrivere due facce della schizofrenia.

Da un lato, c’è il “vivere nelle voci”, l’esperienza di chi convive con allucinazioni uditive. Dall’altro, il “vivere nel silenzio”, uno stato dominato da apatia, anedonia e impoverimento del pensiero. Due estremi, un unico disturbo: la schizofrenia.

Chi non ha mai sentito parlare delle “voci” nella schizofrenia? Sono famose, quasi “mitologiche”, nella rappresentazione popolare del disturbo. Ma quelle voci, per chi le vive, sono tutto fuorché metaforiche. Spesso sono intrusive, persecutorie, arrivano in momenti di vulnerabilità emotiva e si nutrono dei sensi di colpa e delle paure del soggetto. Il paziente non le sente “come pensieri”, ma come vere e proprie entità esterne. A volte sono una compagnia indesiderata, altre, un incubo costante.

Ma pochi parlano del “vuoto”. Quel silenzio che avvolge chi è in una fase di ritiro sociale, chi ha perso interesse per la vita, chi non riesce più a provare piacere. Questo silenzio è sottile, ma devastante: è il volto meno visibile e più trascurato della schizofrenia, spesso confuso con depressione, o peggio, scambiato per disinteresse.

Come psichiatra e psicoterapeuta, una delle sfide più grandi è entrare in risonanza con queste due realtà opposte. La schizofrenia è un disturbo della mente, certo, ma anche della relazione. E se ascolti bene, ogni paziente ti chiede implicitamente la stessa cosa: “Riesci a vedere il mondo come lo vedo io?”.

Curare chi “vive nelle voci” significa lavorare sull’alleanza terapeutica, senza sminuire la loro realtà soggettiva, ma aiutandoli a metterla in discussione in modo graduale e sicuro. Curare chi “vive nel silenzio” significa riaccendere il desiderio, riconoscere quei piccoli segnali vitali che ancora resistono nel buio e fare leva su di essi.

I farmaci antipsicotici sono fondamentali, ma da soli non bastano a garantire il recupero del paziente. Servono interventi psicoterapici strutturati (CBTp, terapia metacognitiva, interventi psicoeducativi), una rete sociale funzionale e soprattutto uno sguardo umano e non patologizzante.

Se sei un professionista della salute mentale, non cadere nella trappola della semplificazione: non tutti i pazienti con schizofrenia sentono voci, e non tutti quelli che tacciono sono “apatici”. La chiave è comprendere dove si colloca la persona nel suo percorso, che può oscillare da fasi acute a momenti di compenso silenzioso.

Se sei un familiare o un paziente, sappi che non sei solo. Capire queste dinamiche è già un passo importante verso la guarigione. La schizofrenia non è una condanna: è una condizione complessa, ma oggi assolutamente trattabile, soprattutto al primo esordio.

“Vivere nelle voci” e “vivere nel silenzio” non sono opposti assoluti, ma stati di coscienza che si alternano, si intrecciano, si trasformano. E il compito di chi cura è stare accanto, né sopra né fuori, ma dentro quel processo.