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Sensazioni di pancia. Microbioma e salute mentale

Il legame che esiste tra cervello e intestino non è certo una novità. È noto che ansia o depressione possono influenzare l’appetito o essere associate a disturbi digestivi, come stitichezza o diarrea. Sappiamo anche che l’intestino produce abbastanza neuro-ormoni da essere considerato un “secondo cervello”.

Fino a pochi anni fa, però, si credeva che la comunicazione tra questi due organi fosse unidirezionale (dal cervello all’intestino). Ora, grazie alle ricerche condotte sul microbioma intestinale umano (la popolazione microbica che è presente nell’intestino) sappiamo che si tratta di un processo bidirezionale, una sorta di connessione superveloce simile a quella che esiste in molte altre vie neurali. Si sa che, modificando le popolazioni batteriche nell’intestino, è possibile influenzare il comportamento umano, e questa scoperta sta rivoluzionando il modo in cui comprendiamo e trattiamo i disturbi mentali e alimentari.

Sappiamo inoltre che le esperienze a cui neonati e bambini sono esposti nei primi anni di vita sono fondamentali per lo sviluppo di un microbioma resiliente. La colonizzazione del microbioma intestinale che si verifica nel periodo postnatale ha un impatto determinante sullo sviluppo e il funzionamento dei sistemi gastrointestinale, immunitario, neuroendocrino e metabolico. Il microbiota intestinale regola quindi l’attività dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA).

Studi sugli animali dimostrano che la somministrazione di antimicrobici orali a topi SPF (specific-pathogen-free) altera temporaneamente la composizione del microbioma, aumentando il comportamento esplorativo e l’espressione dell’BDNF (fattore neurotrofico cerebrale) nell’ippocampo, che è implicato nello sviluppo di ansia e depressione.

Considerando quanti antimicrobici vengono prescritti regolarmente ai bambini e il fatto che nuove evidenze sperimentali mostrano come le caratteristiche di stress di base nei topi privi di germi possano essere modificate solo entro le prime nove settimane di vita (dopo le quali nessuna aggiunta batterica è in grado di regolare correttamente i livelli di stress e ansia), non è strano che i disturbi emozionali nella popolazione pediatrica siano aumentati a dismisura.

Fortunatamente, ci sono anche prove che intervenire sul microbioma più avanti nella vita può portare a cambiamenti significativi a livello comportamentale e psicologico. In uno studio recente, topi ansiosi trattati con il probiotico Lactobacillus rhamnosus hanno mostrato livelli di ansia ridotti, una diminuzione degli ormoni dello stress e persino un aumento dei recettori cerebrali per un neurotrasmettitore cruciale nel controllo di preoccupazioni, ansia e paura. Purtroppo lo stesso rimedio applicato a umani non ha dato i medesimi risultati.

Anche se ci sono ancora molte domande senza risposta, i benefici dell’uso dei probiotici per influenzare il comportamento umano stanno diventando sempre più evidenti. Nel 2013, i ricercatori dell’UCLA hanno dimostrato che donne sane che consumavano due volte al giorno una bevanda contenente quattro ceppi probiotici, per quattro settimane mostravano un’alterazione significativa del funzionamento cerebrale, come rilevato da una risonanza magnetica funzionale (fMRI). In particolare, chi aveva consumato la bevanda probiotica mostrava una ridotta attività nei circuiti neurali legati alle risposte sensoriali ed emotive.

Fino alla pubblicazione di quello studio, l’idea che i probiotici somministrati all’intestino potessero influenzare il cervello sembrava quasi surreale, da fantascienza. Ebbene, scienza sì, ma forse non fantascienza. Potrebbero le persone affette da certi disturbi mentali beneficiare di un trapianto fecale proveniente da qualcuno che possieda batteri “felici e spensierati”? Non lo so, ma questa apparente capacità dei microbi di influenzare i processi cerebrali è una delle scoperte più entusiasmanti degli ultimi anni nella ricerca sui probiotici.