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L’Edipo fatto con la polizia invece che in famiglia: il caso di Bella

L'Edipo fatto con la polizia invece che in famigliaOggi parliamo di complesso di Edipo, ma fatto con la polizia, invece che in famiglia. E utilizziamo il caso di una minore di 17 anni, che chiameremo Bella, proveniente da una città dell’Alta Valle del Tevere (luoghi e dati personali sono stati alterati per proteggere la privacy della paziente). Bella è soltanto una delle centinaia di migliaia di adolescenti che vivono in questo periodo storico che lo psicoanalista Benasayag ha definito l’epoca delle passioni tristi. Con questo termine si intende il modo di sentire che è nato negli adolescenti a partire dal cambiamento di segno di un futuro che, da gravido di promesse che era in passato, viene percepito ora come pieno soltanto di incertezze, sia per i giovani che per gli adulti.

Questo atteggiamento emotivo fa sì che per i ragazzi non sia più possibile uscire dalla crisi adolescenziale a causa dello sgretolamento di quel quadro di riferimento e del contesto che esisteva fino a vent’anni or sono. Una volta questo era vero soltanto per gli adolescenti provenienti dai quartieri difficili delle grandi città. Oggi, i problemi adolescenziali gravi si presentano anche nei paesi e nelle cittadine di provincia.

Ciò accade perchè i ragazzi sono pienamente consapevoli di una realtà che gli adulti sembrano ignorare. Ovvero che il cosiddetto ascensore sociale si è fermato da anni e la maggior parte dei giovani sa che quella che li aspetta è una vita molto incerta e Bella, non fa eccezione a questa regola. Figlia di immigrati Europei ha due genitori che lavorano tanto per un salario non proporzionato alle ore spese fuori casa. Per questo motivo, tre anni fa, si sono trasferiti in Toscana dalla Calabria, dove si erano fermati al loro arrivo in Italia con le due figlie. Qui la presenza di uno zio materno sembrava infatti suggerire un inserimento lavorativo più agevole. In realtà non è andata proprio così

Il padre è un operaio specializzato mentre la mamma lavora come cuoca. Entrambe le sorelle parlano un eccellente italiano. La sorella di Bella frequenta una scuola professionale mentre, da quando i genitori si sono trasferiti in Toscana, lei ha scelto la via dell’abbandono scolastico non riconoscendo né l’autorità genitoriale né l’utilità di un percorso di studi al fine di garantirsi una vita migliore. Ha cercato di integrarsi nel nuovo gruppo dei pari, scegliendo però di inserirsi in un microcosmo di giovani spacciatori di sostanze, pur senza consumarne.

Per questo motivo è stata fermata più volte dalle Forze dell’Ordine con l’accusa di fiancheggiamento allo spaccio, aggressione, minacce e resistenza a pubblico ufficiale. Un magistrato l’ha così dapprima inviata in una comunità educativa e, successivamente, in una comunità terapeutica da cui Bella si è però ripetutamente allontanata ed è stata poi definitivamente dimessa dopo aver cercato di introdurvi sostanze stupefacenti.

Quando Bella arriva al nostro osservatorio clinico, porta con sé non solo la rabbia di chi rifiuta le regole, ma anche lo sguardo di chi non trova più nessuno da cui imparare come stare al mondo. Il suo Edipo, come direbbero i miei colleghi freudiani, non si consuma più tra le mura di casa: non c’è più un padre simbolico da sfidare, né una madre da separare e ritrovare. Il suo conflitto, oggi, si sposta al di fuori — contro le istituzioni, contro la scuola, contro la polizia. È un Edipo pubblico, sociale, un dramma che viene recitato nelle strade e non più nel salotto familiare.

Bella non odia i carabinieri che l’hanno fermata. In fondo, li provoca per essere vista, riconosciuta, contenuta. È la sua personale, disperata richiesta di limite. Come molti adolescenti del tempo presente, Bella non vuole essere lasciata sola, anche se tutto ciò che fa sembra urlare il contrario. La sua lotta è quella di una generazione che non ha più un futuro da conquistare, ma solo un presente cui sopravvivere. E quando il futuro scompare, anche l’autorità — genitoriale, scolastica, istituzionale — perde di senso, lasciando un vuoto in cui l’unica forma di riconoscimento possibile diventa la trasgressione.

Nel percorso terapeutico, Bella non cerca la redenzione, ma un luogo dove poter finalmente esistere senza dover distruggere tutto ciò che esiste intorno a sé per sentirsi viva. L’alleanza con lei non nasce dal giudizio, ma dall’ascolto: da quella sottile linea di rispetto che si costruisce quando l’adulto smette di rappresentare l’ordine e comincia a rappresentare la possibilità.

E così, nel suo silenzio a tratti ostile, nei suoi sorrisi improvvisi e nei suoi occhi che non si abbassano mai, Bella ci costringe a chiederci: chi ha davvero bisogno di essere rieducato — lei, o un mondo adulto che ha smesso di credere nel futuro? Perché forse il vero compito della clinica dell’adolescenza, oggi, non è più “curare” i ragazzi e le ragazze, ma restituire loro — e a noi stessi — la possibilità di un domani in cui valga ancora la pena sognare di crescere.