Oggi vi sorprenderò. Non credo siate al corrente di un nuovo studio, nel quale  ricercatori della Pace University hanno confrontato un’app di terapia basata sull’intelligenza artificiale, Woebot, con tre altre soluzioni: un programma conversazionale non intelligente degli anni ’60 (ELIZA), un’app per il diario (Daylio) e un programma di psicoeducazione di base (considerato il gruppo di controllo). I risultati? Nessuna differenza significativa tra i gruppi in termini di miglioramenti nella salute mentale. L’articolo completo è stato pubblicato su Computers in Human Behavior: Artificial Humans.

Dallo studio emerge che Woebot non offre vantaggi superiori rispetto ad altre tecnologie di auto-aiuto per il benessere comportamentale. I risultati supportano solo in parte l’ipotesi che Woebot non si differenzi molto da altre app non specificamente pensate per la psicoterapia nel migliorare la salute mentale e che tutte e tre le soluzioni attive siano superiori al semplice gruppo di controllo passivo (solo informativo).

In generale, i risultati confermano ricerche precedenti sui benefici delle tecnologie di intervento comportamentale. Per esempio, il gruppo che ha usato l’app di journaling ha riportato miglioramenti che confermano quanto emerso in altri studi: scrivere un diario quotidianamente attraverso un’app può promuovere creatività, resilienza e migliorare l’umore, aiutando le persone a riflettere sui propri pensieri e comportamenti.

Lo studio evidenzia anche preoccupazioni crescenti sul fatto che la comodità e i bassi costi delle tecnologie digitali possano portare a un abbassamento della qualità di ciò che viene considerato un trattamento adeguato per la salute mentale.

Woebot è stato creato come agente conversazionale, progettato per inviare messaggi empatici e personalizzati agli utenti, pur rimanendo trasparente nel presentarsi come un’intelligenza artificiale (evitando di simulare un essere umano). Tuttavia, il sito di Woebot sottolinea spesso feedback di utenti che affermano di sentirsi come se stessero parlando con una persona vera, capace di dimostrare interesse e preoccupazione. Inoltre, Woebot cita ricerche secondo cui gli utenti sviluppano un legame emotivo con l’app simile a quello con un terapeuta umano, dopo soli cinque giorni di utilizzo.

L’obiettivo principale di Woebot è quello di enfatizzare la sua “umanità” e la disponibilità a offrire supporto terapeutico nei momenti difficili. I suoi sviluppatori sostengono anche che il legame che si crea con Woebot può essere paragonabile a quello che le persone stabiliscono con i terapeuti umani.

Tuttavia, i risultati dello studio sollevano una domanda importante: il pubblico è ingannato dall’hype attorno all’IA? Questo studio non ha trovato prove che un bot di terapia basato sulla CBT (terapia cognitivo-comportamentale) offra risultati migliori rispetto ai programmi conversazionali o di psicoeducazione degli anni ’60. Questo porta a concludere che molte affermazioni sulle app per la salute mentale non siano realmente supportate da dati concreti. Eppure, nonostante preoccupazioni sulla privacy e sul rischio di manipolazione, queste app continuano a guadagnare popolarità.

Secondo Eltahawy e colleghi, la ricerca futura sui chatbot deve dimostrare che questi strumenti sono almeno all’altezza delle terapie esistenti (come la CBT erogata da un terapeuta umano), prima di essere promossi come interventi “efficaci”. Insomma, un bot ben progettato può essere un valido aiuto per chi non può permettersi una psicoterapia, ma è ancora molto lontano dal poterla sostituire.