Il sintomo come messaggio dell’inconscio: quando il corpo parla al posto della mente
Oggi vi parlerò del sintomo come messaggio dell’inconscio, ovvero quando il corpo parla al posto della mente. Ti è mai capitato di provare un’ansia inspiegabile, un’insonnia che non cede, o una tristezza senza apparente motivo?
Molti li definiscono “disturbi”, ma in realtà — secondo la prospettiva junghiana — sono messaggi in codice che l’inconscio invia quando qualcosa dentro di noi chiede di essere ascoltato. Jung scriveva che “la malattia è spesso un tentativo della natura di guarire l’uomo”. In altre parole, il sintomo non è un errore da correggere, ma un linguaggio simbolico da decifrare.
Prendiamo ad esempio l’ansia. Da un punto di vista biologico, è un’allerta del sistema nervoso. Ma, psicodinamicamente, può essere un segnale di scissione interna: una parte di noi vuole cambiare, mentre un’altra resiste con tutte le forze.
Un esempio clinico (naturalmente modificato per ragioni di privacy): “Luca, 34 anni, manager di successo, arriva in studio per attacchi di panico improvvisi. Tutto nella sua vita sembra ‘perfetto’, ma nei sogni appare ricorrente un mare in tempesta. Durante il percorso terapeutico emergono emozioni represse e una creatività soffocata da anni di conformismo. Il sintomo diventa così una via di ritorno al Sé autentico.”
Il panico, in questa luce, non è un nemico da sopprimere, ma una richiesta d’ascolto. Quando l’inconscio non riesce più a esprimersi simbolicamente (nei sogni, nell’arte, nella riflessione), trova un altro canale: il corpo. Immagina di cambiare sguardo. Invece di chiederti “Come elimino questo sintomo?”, prova a domandarti: “Cosa sta cercando di dirmi?“
Ogni sintomo ha una sua intenzione simbolica:
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L’insonnia può rappresentare una mente che non si concede tregua, o la paura di “lasciarsi andare”.
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Le somatizzazioni (gastrite, cefalea, tensioni muscolari) possono essere il corpo che trattiene ciò che non trova parole.
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La depressione, talvolta, può essere la psiche che costringe a fermarsi per ridefinire il senso del proprio percorso.
In terapia junghiana, una parte importante del lavoro consiste nel dare voce al sintomo. Si esplorano sogni, fantasie, immagini, per comprendere quale parte dell’inconscio stia bussando alla porta della coscienza. Il corpo diventa così un alleato nella ricerca di significato, non più un ostacolo da zittire.
Se stai vivendo un disagio che non riesci a spiegare, forse non è un segno di debolezza, ma un invito al cambiamento. Come un sogno che ritorna, il sintomo ti chiede di scendere un po’ più in profondità, di guardare cosa nella tua vita non è più allineato con ciò che sei.
Il primo passo quindi consiste nell’ascoltare (non combattere) e nel cercare di interpretare il senso (non sopprimere). La psiche parla in simboli, e ogni simbolo nasconde un frammento di verità personale. Quando inizi a comprendere quel linguaggio, il sintomo non scompare magicamente — ma si trasforma. Perché ciò che viene compreso non ha più bisogno di essere urlato.

